Il deserto dei Tartari (invito all’astensione)

Ilromanzodel 1940 ,cui faccio riferimento nel titolo,narrava di una Fortezza che dominava la desolata pianura chiamata “deserto deiTartari” svuotata della sua importanza strategica e rimasta solouna costruzione, dimenticata da tutti . Tuttavia essa continuava adesercitare sui suoi abitanti un fascino straordinario che impedivaloro di abbandonarla al suo destino di rudere; lo stesso che attiraancora molte persone verso le scadenze elettorali inducendole a candidarsi (a prescindere) anche se le cariche da ricoprire sono lapresidenza del condominio e/o della locale bocciofila.

Non parlo, naturalmente,dei politici di professione ai quali sono completamentedisinteressato, ma della gente perbene ( poca a dire il vero)presente nelle liste , che non si accorge di fornire, così, unasorta di legittimazione a queste competizioni (fatte in casa),inventate al Pallonetto di Santa Lucia , quel rione napoletano di excontrabbandieri convertiti alle pensioni d’invalidità per malattiementali.

D’accordo:non esiste più la distinzione tra destra e sinistra. Ma qui siesagera.” I partiti in lotta sembrano esibire quella famosa scrittache campeggia su qualche negozio di abbigliamento napoletano : “Nonandate altrove a farvi rubare, provate da noi.”.

Forse lanostalgia dei tempi in cui la rappresentanza aveva unsignificato ( ma era proprio così?) invoglia anche chi nonappartiene certamente a questa maionese impazzita a cimentarsi neltentativo di far sentire la propria voce solitaria all’interno diorganismi istituzionali (di cui si chiede l’eliminazione sia dadestra che da sinistra) privilegiando ancora una volta la politica (quella con la c.d. “P”maiuscola) che si vorrebbe diversa daquella che è in realtà ( ma che probabilmente non è cambiata mai).Al riguardo il sociologo Sergio Bologna afferma ed a ragione: daquesto tipo di sinistra, onesta e propositiva , mi divide ilfatto che ho sempre considerato, contrariamente ad essa, la societàpiù importante del quadro politico o di governo.

Leelezioni esortano solo a catturare il voto a qualsiasi costo, sonoil momento degli appelli al recupero della dignità da parte deiprofessionisti e della borghesia nostrana , quella stessa provenientedalle medesime famiglie che detengono da anni, forse secoli, icordoni della borsa. Possibile che nessuno, in questa strana“democrazia”, abbia più voglia di rappresentare “ la guerrasanta dei pezzenti” (F. Guccini)? Nessuno si ponga più il problemadi quale tipo di libertà si può/si deve cercare nellavoro o anche oltre il lavoro, nelle questioni del vivere?

Solola TV continua ad informarci dell’ecatombe quotidiana dei mortisul lavoro offerti in sacrificio allo sviluppo economico, maaffronta la problematica come se si trattasse di sgradevoli episodiindividuali, anziché elementi costitutivi di una condizionesociale. Sembra che oggi a lavorare siano solo macchine e nonuomini,che nei supermercati, quintessenza del terziario , iprodotti si collochino da soli negli scaffali (il Manifesto), chele città si riducano ad essere sedi di monumenti e non anche imaggiori luoghi di produzione.

Iproblemi connessi alla qualità della nostra vita e che potrebberovedere la partecipazione di intellettuali, professionisti eborghesia sono tanti, dall’ambiente alla gestione dei servizisociali, ma vengono sistematicamente sminuiti di valore nel confrontocon la politica . Qualcuno storce il naso quando si parla ditrasparenza, di strumenti di democrazia diretta, di Cdr, di raccoltadifferenziata come se si trattasse di bazzecole , come se tuttodovesse trovare risoluzione e ricomposizione nelle elezioninonostante la storia recente insegni il contrario. Mi aspetto giàche mi si dica, tra le tante cose, che le votazioni sono l’occasioneper scegliere , se non altro, il meno peggio tra ciò che si trovasul mercato. Provate allora voi a chiedere consensi qualificandovicome il “meno peggio” e vediamo quanti ne raccoglierete, io , nelfrattempo, (come tanti altri) cercherò di mantenermi lontano daiseggi elettorali per la voglia di fuggire che mi porto dentro…..e, anzi, al loro cospetto avrei desiderio di gridare, parafrasandouno slogan elettorale : IO CHE C’ENTRO?

Esisterannopure luoghi e persone per continuare a parlare degli spazi che ilsociale apre all’espressione dei propri bisogni, che vanno –sempree di nuovo- riconquistati alla loro identità autonoma, sottrattiall’identificazione coatta che il potere esercita mediantel’istituzione ( partiti).

GerardoD’Amore 17/03/2010

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